La presentazione del XXVII Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes si è tenuta a Roma venerdì 28 settembre 2018 presso la Sala Marconi della Radio Vaticana, Piazza Pia 3, dalle ore 11.00 alle ore 13.30. L’edizione di quest’anno, dal titolo “Un linguaggio nuovo per le migrazioni”, è incentrata sul valore e l’importanza di comunicare l’immigrazione con un linguaggio nuovo e aderente alla realtà.
La struttura del Rapporto presenta una sezione internazionale che si focalizza sulle dinamiche a livello globale ed europeo, ed una parte nazionale che si concentra sulla presenza nel nostro Paese di oltre 5 milioni di cittadini stranieri: il lavoro, la scuola, la cittadinanza, la salute, la devianza sono i principali temi oggetto dell’analisi. Il tutto arricchito dalle voci di esperti che hanno contribuito ad approfondire alcuni ambiti ritenuti di particolare attualità nel dibattito pubblico sul tema dei migranti. «È evidente – scrivono don Francesco Soddu e don Giovanni De Robertis, rispettivamente Direttore di Caritas Italiana e Direttore generale della Fondazione Migrantes – che ci troviamo di fronte ad una ‘emergenza culturale’ che richiede un intervento strutturato e di lungo periodo. È necessario mettere in campo tutte le risorse educative capaci di stimolare, da un lato, il necessario approfondimento rispetto a temi che sono ormai cruciali, e dall’altro lato di accompagnare le nostre comunità verso l’acquisizione di una nuova ‘grammatica della comunicazione’ che sia innanzitutto aderente ai fatti e rispettosa delle persone».
I due organismi pastorali della Cei ribadiscono l’impegno della Chiesa in Italia per le persone più fragili e, fra queste, le donne e i minori che raggiungono l’Europa lasciando «contesti difficili dove ogni idea di futuro è compromessa da conflitti e povertà diffusa».
Un impegno ribadito più volte e che si articola in varie campagne e iniziative (vedi le varie iniziative avviate) con cui la Chiesa Italiana ha fatto suo l’appello del Papa, accogliendo negli ultimi tre anni oltre 26mila migranti, spesso in famiglie e parrocchie, come dimostrano anche le esperienze del progetto “Protetto. Rifugiato a casa mia” e dei corridoi umanitari.